Sospiro, socchiudo gli occhi, mi pregusto un sonnellino davanti al caminetto.
“Miiiiiaaauuuuu” urla la piccola agguantandomi la coda.
Alzo gli occhi al cielo e le rifilo distrattamente una zampata, non merita uno sforzo maggiore.
Per anni io, Minù, sono stata la regina indiscussa della casa, ma da qualche settimana l’idillio si è infranto. L’umana femmina ha trovato nel bidone dell’umido quella lurida palla di pelo ed è rientrata facendo gridolini e usando parole a caso, tipo “poverina”, “piccina” e addirittura “bellissima”. È evidente che nel raccoglierla deve esserci caduta di testa, nel bidone.
Quella roba grigiastra con gli occhi cisposi non ha assolutamente nulla di bello. Puzza. Fa confusione. Non sa neanche usare la lettiera, quella selvaggia incivile. E vuole sempre starmi vicina. Ma come le viene in mente? Ha perfino l’ardire di chiedere di giocare. Giocare! Io non gioco, non è un’attività adatta a una felina della mia levatura.
E l’umano maschio? È colpevole di alto tradimento. Ieri l’ho visto fare i grattini a quell’altra mentre guardava la partita sul divano. E la teneva sulle ginocchia. Spero si sia ricordato di disinfettarsi, dopo, altrimenti può scordarsi di sfiorarmi.
Le hanno perfino dato un nome. Nina. Che razza di nome. Io continuo a chiamarla “quella”.
Nina, ehm, quella, rincorre una pallina, si arrampica goffamente sulla tenda. È così scoordinata, ha sicuramente qualcosa che non va. La guardo agitare la zampetta per liberare gli artigli dal soffice tessuto, poi corre verso di me, mi salta addosso. Prendo un appunto mentale per ricordarmi che il gatticidio non sarebbe ben visto.
Me la scrollo di dosso con malcelato sdegno. Nina mi guarda con la testa piegata di lato, sussurra un “miao” con la sua vocetta da cucciola. Forse non è proprio orrenda, potrei provare a… no, non correrò. Non giocherò. Ok, magari un saltello solo. Va bene, lo ammetto, forse è carina.